Per Lia

per-lia-1di Marco Ercolani – tratto da  Perìgeion

Nel 2014 esce un docufilm Lia: Music non stop, diretto da Tore Manca, e dedicato alla cantante e artista Lia Origoni, celebre in Europa nella prima metà del secolo scorso, nata in Sardegna (La Maddalena, 20 ottobre 1919) e ancora vivente. Il docu-film testimonia l’incontro fra Tore Manca e l’artista che, a oltre ottant’anni decide, da autodidatta, di imparare le tecniche digitali e di restituire al mondo la presenza della sua voce. Lia si adatta alle nuove tecnologie, e lavora a un editing su computer audio e multimediali partendo dalle bobine magnetiche di centinaia di antiche registrazioni, recuperate dagli archivi RAI del secolo scorso e destinate al macero. Lia lavora ogni notte al computer per ripulire e selezionare le registrazioni dei suoi concerti. Nell’età della nostalgia, della perdita di memoria e di senso che contraddistingue la vecchiaia, Lia ritrova una seconda vita lavorando tutti i giorni, e spesso le notti, con la sua materia: il suono della sua voce. Lia Origoni fu cantante versatile, interpretò canzoni, lieder, songs, anche arie d’opera, spaziando in un repertorio vasto e variato ma sempre decidendo lei le sue scelte. Dice Lia: «La musica deve accarezzare lo spirito, non deve essere una fucilata, io non so come la pensiate voi, ma so che… avete bisogno di essere intontiti dalla musica». Lia, invece, lucidissima, trova se stessa, nel passato, e rende quel passato presente, non smettendo di lavorare alla migliore tessitura della sua voce attraverso la tecnologia digitale, di cui è sempre stata curiosa. Il ritratto che di lei traccia Tore Manca è nitido e commovente: la presenza di Tore nel docufilm, accanto a lei, è spesso determinante. Il viso timido del regista e il volto orgoglioso dell’antica cantante creano un cocktail visivo suggestivo, sia che vengano ripresi all’interno dell’auto o sulle rive del mare di Sardegna: entrambi condividono, nell’orgoglio e nella timidezza, una comune inflessibilità e una tenacia non comune nell’amare il loro lavoro sul suono. Alcune coreografie di Daniela Tamponi completano i settanta minuti del docufilm, produzione indipendente di “mater-ia”. Da sottolineare un aspetto importante dell’opera: Lia difende apertamente le sue idee e, quando confessa la sua difficoltà nel comprendere l’arte visiva contemporanea, parla di emozioni, di vibrazioni. Qualcosa, nell’arte, insomma, deve smuovere, commuovere, oppure per lei non c’è arte. Idee condivisibili anche oggi che Lia entra nel suo novantasettesimo anno di vita e la immaginiamo ancora al lavoro sulla “materia” della sua voce. Se è vero, come scrive James Hillmann, che nella vecchiaia emerge l’autentico carattere della persona, Lia ne è un fulgido esempio: in un’età in cui scompaiono i ricordi e la mente si blocca e si diventa oggetti passivi di cure esterne, Lia conserva una prodigiosa salute psicofisica, corroborata anche dallo strenuo lavoro quotidiano, che niente ha in comune con le vanità del narcisismo. Lia, semplicemente, lotta contro il nulla in cui la sua voce, che risuonò nei palcoscenici degli anni Quaranta, sarebbe naturalmente sprofondata a causa dell’imperfetta tecnica di allora. Usa la nuova tecnologia, “ripulisce” le registrazioni dei suoi concerti su computer audio e multimediali per riportare in vita la sua voce, sottraendo all’inevitabile oblìo quelle antiche esecuzioni. Ma senza dimenticare che lei, Lia Origoni, vive comunque nel mondo di oggi. Spesso, racconta, si addormenta a notte tarda, lasciando la televisione accesa e facendo scorrere le immagini; quando si sveglia, sente le notizie che arrivano dal mondo. Perché, pur isolata nella sua casa e immersa dentro le vibrazioni della la propria voce, Lia si sente collegata ai suoni e ai rumori della vita. E vuole, lei, donna sola, lasciare al mondo di oggi la sua semplice eredità: chi è stata. E, forse, ha sospeso la sua morte per trovare proprio questo tempo ultimo, magico, in cui terminare il suo limpido, musicalmente rigoroso, autoritratto di cantante dal repertorio eclettico, capace di intonare le canzoni di Brassens come i lieder di Mendelssohn, i canti di Bellini e di Donizetti e l’aspro parlato della Jenny dei pirati di Kurt Weill.
Tore Manca testimonia, con questo docufilm, la bellezza e l’insostituibilità di una vita che non si rassegna a diventare simulacro fotografico, immagine d’archivio, ricordo altrui, ma vuole essere, ancora, voce viva e libera, la voce che fu allora e che oggi torna a risuonare, liberata dai vecchi nastri magnetici, anche per le nuove generazioni. L’immagine di Lia, fragile e testarda, tanto da non sentire il peso degli anni (“per me il tempo non esiste”, confida), accompagnata da Tore davanti al mare della sua Sardegna, resterà a lungo nella memoria dello spettatore come simbolo di una libertà per la quale non è mai troppo alto il prezzo da pagare.

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