Lia Origoni, la diva di un mondo perduto

di Martina Marras | 15 Settembre 2016 La Donna Sarda

La sua carriera iniziò a Caprera, accanto alla tomba dell’eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi, alla presenza della figlia Clelia che ne celebrava la memoria. Emilia – Lia – Origoni era una ragazza che amava cantare ma che non avrebbe potuto immaginare cosa il futuro aveva in serbo per lei.

È stata una regina della musica, ha lavorato nei più importanti teatri d’Europa ed anche insieme a Totò; ha inciso in radio centinaia di canzoni e poi, a cinquant’anni, ha smesso per sempre. «Non ho più cantato, nemmeno per me stessa», racconta Lia, che oggi ha 96 anni.

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Nella nostra conversazione i pensieri si muovono in maniera disordinata. Si passa da Parigi a Berlino, dalla radio alla tv. Ci riceve in un caldo pomeriggio di agosto, nella sua casa a La Maddalena, l’isola nella quale è nata e dove ha deciso di tornare al termine della carriera. In pieno centro, il suo appartamento è quasi un museo. «Ho avuto la fortuna – dice l’artista – di vivere un periodo veramente significativo della storia, a cavallo fra il Novecento e il Duemila e di vivere in posti meravigliosi in cui ho conosciuto grandi personalità». Ogni angolo racconta di imprese importanti compiute da una giovane donna sarda d’altri tempi. Appese al muro innumerevoli fotografie dove Lia appare bellissima nei costumi di scena; il suo violino; i quadri della sorella pittrice. Parlare con Lia è un modo per conoscere un mondo che non esiste più.
«Ho cominciato prima a cantare e poi a parlare. A quattro anni già calcavo il palcoscenico delle suore di San Vincenzo che erano solite organizzare spettacoli per bambini, ma ancora prima, a casa, mi impossessavo di una sedia e di un giornale ci salivo sopra e lo sfogliavo cantando, fingendo di trovare ispirazione nelle pagine che ovviamente non potevo leggere. Sono nata così, cantando. Quando ero bambina, avrò avuto 10-12 anni, un tuffo in mare mi ha perforato un timpano, ma ho continuato a sentire la musica con l’osso».

A dieci anni Lia abbandona La Maddalena perché «ero destinata alla carriera scolastica, dovevo prendere un diploma per poi insegnare. Ma a Caprera è stato disegnato il mio destino, ai piedi della tomba di Giuseppe Garibaldi. Mio zio era amico dei Garibaldi e mi portò con sé in quell’occasione dove ebbi la fortuna di imbattermi nel tenore Bernardo De Muro. Dopo avermi sentita cantare mi disse che era questo ciò che dovevo studiare».

A 19 anni Lia è a Roma, ma vi resta solo due anni a causa del suo carattere ribelle. «Il Padre Eterno mi ha regalato una voce che non aveva bisogno di essere costruita, mentre il mio maestro di allora insisteva affinché io facessi cose che per me non erano naturali. Così il giorno del saggio mi rifiutai di cantare e mi presentai alla Tv di Stato dove venni immediatamente scritturata e ho avuto il mio primo contratto con Totò».
Lia indica la foto con orgoglio e subito precisa: «Io cantavo da poco, quindi il mio nome non era molto conosciuto. Ed è successo questo: appena arrivata dissi che avrei lavorato solo per 300 lire al giorno – una cifra veramente enorme nel ’40, specie considerando che Totò guadagnava mille lire e Anna Magnani, la sua prima donna, 500. Vista la mia risolutezza Epifani, il manager di Totò, mi chiese di cantare Il Paese del sorriso e al finale venne giù l’intonaco dal soffitto, letteralmente. Così Epifani mi disse: “Canta di nuovo”. E io cantai e ancora una volta venne giù l’intonaco. Mi diedero le 300 lire e fui la terza paga dello spettacolo, pur essendo solo una debuttante».

Nel 1943, a Berlino, Lia abitava in un albergo che stava proprio di fronte a una batteria anti-aerei tedesca. «Ma abbiamo sempre fatto lo spettacolo, anche sotto i bombardamenti. Alla fine devo dire che ero davvero stanca della guerra e ho rinunciato a stare nella capitale. Mi sono spostata prima ad Heidelberg, dove ancora si poteva vivere, e poi sono tornata in Italia, grazie all’aiuto del consolato. Non so davvero come riuscii a prendere quel treno».Tornata in Italia accantona momentaneamente la canzone per dedicarsi al mestiere di maestra in Toscana, dove la sua famiglia si era trasferita. Ma presto si reca a Venezia dove prende lezioni di prosa. Si dedica nel frattempo anche alla sartoria, insieme alla sorella. «Io ideavo i modelli e mia sorella li tagliava», dice. «La guerra è stata davvero dura e il dopoguerra anche di più. Ma io ero giovane e un po’ incosciente e non ho mai avuto paura».

Lia riprende a lavorare in teatro, ancora una volta con Totò e questa volta è lei la sua prima donna. Com’era lavorare con lui? «Totò per me è stato un padre. Lui divideva le persone in due categorie: quelle che stimava e quelle a cui regalava i bracciali d’oro. Se ne vedevano tante, con quei bei bracciali alla schiava, alti. Chi non li aveva, e io non ne ho mai avuti, portava il segno della stima di Totò. Era un uomo molto educato e rispettoso, davanti a me non raccontava nemmeno le barzellette sconce».

Il piano Marshall la porta a Parigi. Un direttore d’orchestra americano era arrivato a Roma per portare nella capitale francese un’artista italiana. In tutta fretta viene preparato un passaporto, Lia parte, incide un brano con l’orchestra e dopo qualche giorno è di nuovo a casa. «Ma io desideravo scoprire meglio quella città che tanto mi aveva affascinata. E allora ci sono tornata, senza contratto. Avevo solo il nome di un buon albergo vicino all’Opera, dove dopo tre giorni sono stata scritturata. Ho vissuto a Parigi cinque anni e per otto mesi sono stata all’Hotel de Paris, pagando la camera di settimana in settimana».
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E poi venne la radio. Lia lavora con Piero Umiliani, incidendo centinai di brani in più lingue. Dopo l’addio alle scene si è dedicata all’inglese – lingua che ha sempre odiato in giovinezza – e a 80 anni ha acquistato il suo primo computer desiderosa di impegnarsi in un’ultima grande impresa. «Ho le bobine autentiche della radio, i 33 giri delle mie canzoni e ho pensato che fosse un peccato tenerli chiusi in un armadio», dice mostrando con orgoglio le bobine che sono tutta la sua vita. Lia ha chiesto gli ausili tecnici di cui aveva bisogno e poi ha pulito interamente 250 brani, da cui ha ricavato oltre trenta dischi incisi direttamente nella sua casa di La Maddalena. «Ho tagliato tutti i ‘tic’ per non rovinare la parole ed è un lavoro che solo io potevo fare perché ho ancora la memoria di come cantavo quei brani». La casa di Lia si è trasformata in un laboratorio: dotata di ottime schede audio, la notte indossa le cuffie per non disturbare i vicini e lavora. Un po’ di tempo fa ha scoperto, grazie a internet, di avere un ammiratore che aveva caricato su YouTube una sua canzone, Vola vola – con la quale Lia era stata premiata a Parigi. «Ho scoperto che si trattava di un professore di Pisa e adesso siamo in contatto».
Cosa resta di questa grande carriera? La stanza di Lia parla da sola. Lei indica tutte le cose più preziose che conserva con cura, nel suo bel soggiorno abbellito da orchidee colorate, il suo fiore preferito. «Le cose minime sono quelle alle quali in vecchiaia si attribuisce maggior valore».
Ma non era inusuale, per una ragazza, in quegli anni, avere una vita così avventurosa? Lia scuote un po’ la testa, ci pensa su e poi risponde: «Mi dovevo sposare, avevano fatto già le partecipazioni. Quello che doveva diventare mio marito era un siciliano che faceva follie per me, ma non poté trovarmi, perché manco sapeva dove fossi andata: avevo scelto la carriera. Mi ero detta: chi me lo fa fare di rinunciare a quella è che davvero la mia vita?».