Sardegna al femminile: Lia Origoni, la diva del Novecento
Tratto da L’Unione Sarda del 19.05.17 – La Sardegna al Femminile
La vita di Lia Origoni è quella di un’artista a tutto tondo, una donna che è stata anzitutto cantante, ma anche stilista, educatrice, soubrette, e molto altro. Una vita trascorsa sul palcoscenico dei teatri di tutta Europa in un viaggio e una scoperta continui, che proseguono incessanti ancora oggi, a 97 anni, dove, dalla sua casa della Maddalena, Lia segue con grande entusiasmo gli accadimenti della Sardegna e del mondo.
“Il filo che lega indissolubilmente gli anni della mia esistenza – racconta a L’Unione Sarda – è anzitutto quello della curiosità e della voglia di vivere. Ho uno spirito mai sazio, che mi spinge a stare alzata la notte per guardare in tv, anche fino alle quattro del mattino, programmi e telegiornali: ecco, io penso che questa sete di conoscenza sia davvero l’essenza della vita”.
GLI INIZI – Lia Origoni nasce il 20 ottobre del 1919 a La Maddalena, da Pietro e Rosa Francesconi. Il ramo materno è di origine viareggina, gli Origoni sono invece tra le più antiche famiglie insediatesi sull’Isola fin dal 1776. La passione per la musica s’inizia nei più teneri anni dell’infanzia, con esibizioni ripetute davanti alle suore dell’istituto San Vincenzo, dove Lia studierà sino ai 10 anni. “Ho iniziato a cantare prima che a parlare”, ci racconta.
La prima vera audizione avviene nel 1934 a Caprera, accanto alla tomba di Giuseppe Garibaldi: il grande tenore Bernardo de Muro è ospite della figlia dell’eroe dei due mondi, Clelia. L’appena quindicenne Lia, accompagnata dallo zio Giacomino, viene invitata a cantare alcune arie tratte dai film di Marta Eggerth. Sia Clelia che De Muro sono unanimi: questa ragazza deve studiare canto e dedicarsi alla musica.
Nel 1936 vince a La Spezia il concorso nazionale per le voci nuove, indetto dalla famosa casa di produzione bambole Lenci, e nel 1938 ottiene una borsa di studio di ben 8000 lire dal Teatro dell’Opera di Roma, dove avrà occasione di cantare con il famoso mezzo-soprano Pederzini. Alla fine del corso si presenta all’Eiar, la Radio e la Tv di allora, per un’audizione: canta “Tu che mi hai preso il cuor” di F. Lehar, e viene scritturata; sarà la prima cantante donna ad ottenere dall’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche e Fonovisive un contratto, il numero 1.
IL GRANDE TOTÒ – Nel 1939 Lia Origoni partecipa alle audizioni indette per costituire il cast di una rivista della ditta Totò – Magnani. La sua interpretazione, così vibrante da far cascare al suolo un pezzo di intonaco della sala destinata alle prove, convince l’impresario Epifani ad attribuirle la parte. “Fu un periodo per me stupendo – ci racconta – Totò è stato uno dei miei più grandi maestri. Un gran signore, dentro e fuori dal palco”. Totò era talmente impressionato dal talento di questa giovane ragazza che ad ogni spettacolo, al momento degli applausi e dei saluti, con tutti gli attori in riga sul palco, faceva avanzare Lia spostandola sempre più al centro, dove stavano i grandi artisti. “Un bel giorno mi ritrovai accanto alla Magnani – ci racconta – e lei si infuriò: quando uscimmo dal palco mi diede un gran calcione”. Sarebbero poi diventate amiche, e Lia ricorderà questo episodio come uno dei due “calci regali” – come li definisce lei con il sorriso – che ricevette nel corso della sua carriera. “L’altro mi fu riservato dalla Signani, qualche anno dopo, alla Scala di Milano, gelosa che mi fossi presa l’entusiasmo del pubblico insieme a lei”. Anche in questo caso, la pace fu presto fatta.
LE TOURNÉE E L’ITALIA – Il successo sorride in questi anni alla Origoni, che si trasferisce prima in Germania, con un ingaggio a La Scala di Berlino, dedicandosi poi a una tournée in Polonia e Cecoslovacchia. È il periodo a cavallo della fine del secondo conflitto mondiale, un’esperienza durissima per la miseria, il freddo, la povertà incontrati, e per lo strazio che trova al suo rientro in Italia: a Roma ad accoglierla sono le macerie del mulino Pantanella, distrutto a seguito del terribile bombardamento del quartiere San Lorenzo. Accanto al mulino abitava la sua famiglia: “mia sorella – ci racconta – per lo shock subito perse la parola per due anni”. Ne seguirono esperienze a Roma, Venezia e Milano. Lia sceglie poi di lasciare la musica per dedicarsi prima all’insegnamento e poi, per dieci anni, alla moda insieme alla sorella Emanuela. “Non ero un stilista – ci spiega – e componevo gli abiti direttamente sui manichini. Poi giravo l’Italia per presentarli, e ogni volta che lanciavo una nuova creazione lo facevo in musica, accompagnandola con una canzone”. Il rientro sulle scene avviene grazie a Totò, che la richiama con grande forza. “Le attenzioni quasi paterne che Totò mi riservava all’interno della compagnia – ci spiega – erano fuori dalle normali regole del teatro; davanti a me Totò evitava di raccontare, come a volte è d’uso dietro le quinte, barzellette licenziose, invitandomi perentoriamente ad allontanarmi”.
Nel 1951 intraprende una tournée in Egitto che la porterà ad Alessandria per esibirsi allo Scarabèe, di proprietà del Re Farouk. Al Cairo alloggia all’Auberge de Piramide, nei pressi della spianata di Giza: ogni sera finito lo spettacolo prende l’abitudine di camminare da sola verso le Piramidi e di sedersi davanti alla Sfinge a meditare. “Un’abitudine insolita e rischiosa per chiunque – ci spiega – ma mai una volta fui importunata. Anni dopo seppi dallo stesso Farouk, oramai in esilio, che tutte le volte la mia passeggiata era seguita e protetta dalle guardie del re che, in incognito, vigilavano sulla mia sicurezza”.
Si trasferisce poi a Parigi, dove resterà per cinque anni: “Ogni weekend – ci racconta – ero invitata dal duca di Chayot e dal principe Bourbon. In un’occasione conobbi anche il ministro dell’interno francese Jilbert Jule, che mi disse era per me il momento di diventare cittadina francese”. Lia, anche in quella occasione, risponde con i suoi modi garbati ma perentori: “Dommage, je suis et je reste italienne: mi perdoni, sono e resto un’italiana”.
L’ADDIO ALLE SCENE – Torna quindi in Italia, dedicandosi alla tv, alla radio, al teatro. Dà l’addio alle scene liriche nel 1964 con i “Concerti classici”: l’Università di Grenoble, Alessandria, e Cogne saranno le ultime tappe dei suoi incontri con il pubblico, che continuerà ad ascoltarla in radio fino al 1966. “La scelta di interrompere bruscamente la mia attività è nata dalla consapevolezza che per tutti viene il momento del ritiro: quando ero più giovane ero rimasta colpita dal trattamento riservato a quello che per me era un grandissimo maestro, il tenore Tito Schipa, che, già avanti negli anni, dovette chiedere il permesso al pubblico di proseguire la sua esecuzione dopo una mia magistrale interpretazione. È stato un episodio che mia ha segnato, e per cui ho deciso che quando sarebbe stato il mio momento avrei lasciato, senza rimpianti. La vera grandezza sta anche in questo”.
Virginia Lodi